A seconda dell’interlocutore col quale si discuterà di Mark Ronson, questo personaggio verrà identificato come il collaboratore di Bruno Mars per l’odiosa “Uptown Funk”, come l’autore della dolente “Late Night Feelings” con Lykke Li, o l’autore di “Cold Shoulder” di Adele.
Non solo: oltre a progetti come “Version”, l’album di cover cantate da un cast all-star fra i quali spiccava il cantante dei Coldplay Chris Martin, Mark Ronson probabilmente – e ingiustamente – passerà alla storia per essere l’uomo che ha confezionato il suono anni Sessanta di “Back to Black” di Amy Winehouse, consegnando alla leggenda la sfortunata cantante londinese morta nel 2011.
Un talento sfaccettato (e sfacciato)
Se sembra strano inserire un produttore tra gli artisti di maggiore influenza di questo primo scorcio di ventunesimo secolo, bisogna ricordare che il successo globale di Amy Winehouse è stato croce e delizia per Ronson, classe 1975. Dopo l’esplosione di “Back to Black”, le case discografiche mondiali hanno iniziato, per merito suo, a promuovere talenti femminili dalla voce e dallo stile vintage – il tutto peraltro con risultati decisamente deludenti.
Intelligentemente, il produttore si è tenuto alla larga da quelle copie carbone, e ha lavorato su progetti decisamente diversi: magari senza lo stesso impatto a livello di classifica, ma mettendo la firma a dischi interessanti e acclamati dalla critica, dai quali emerge la poliedricità dell’autore, figlio d’arte ma capace di far convergere nella sua proposta, sia a nome proprio che quando firma per altri, una conoscenza della musica a 360 gradi.
Grazie a lui Miley Cyrus si è liberata dal giogo dell’immagine di lolita pop che le era stato cucito addosso da “mamma Disney”, Lykke Li è uscita dal cono d’ombra proiettato dal successo di “I Follow Rivers”, e Lady Gaga ha dimostrato di avere una gravitas e una artisticità vere, con un disco fra i suoi più profondi e meditati (“Joanne”, passato largamente inosservato).
In più, Ronson ha scoperto talenti giovani come Yebba ed è stato fondamentale per l’esplosione di King Princess: sono piccoli esempi di un profilo insolito, che può vagamente ricordare quello di Quincy Jones, passato da musicista a produttore con agio e senza mai rinunciare a nessuna delle due carriere, rimanendo una figura di spicco della discografia per oltre sessant’anni. Scommettiamo che sarà la parabola anche di Mark Ronson?